È domenica. Ottobre 1986.
Una timida sveglia, sono in piedi da un pezzo. 6 anni appena compiuti, nell'aia il profumo del soffritto. Nonna in cucina, aspetta il gallo. Aiutato da una pentola di acqua calda, lo ripulisco per bene. Ho le mani ustionate. Reggo le ali mentre sapientemente, da buona massaia, lo taglia in piccoli pezzi.
Il profumo del sugo si diffonde. Papà viene a prendermi. Andiamo a cacciare gli storni che da li a poco transiteranno nel vicino campo. Poche fucilate e un buon carniere è nella cacciatora. Annuso i piccoli corpi, neanche fossi un cane. Ci sediamo al grande masso e puliamo la selvaggina. La portiamo a nonna, preparerà un buono spiedo. Sono li che osservo, e imparo. Imparo a vivere. Ad apprezzare. Piccolo e con le mani sporche di fango. Di fango e sangue.
43 anni, seduto al grande masso. Il fuoco è quasi pronto e presto con questi tordi preparerò un buono spiedo. L'ho imparato da nonna... ora sono solo e mi godo il presente, la mia solitudine e quel profumo di selvatico che sa di passato. Di fresche mattine. Di aie e cortili.
È così che si diventava uomini. È così che ho imparato ad amare le meraviglie del creato. Grazie alla gratitudine e alla meravigliosa sensazione di averla vissuta
e predata.
E così gli "Uomini" hanno maturato consapevolezza e guardano dall'alto gli "omuncoli" figli del progresso. Nemici di una ruralità, nemici del saper vivere.
... ma saper vivere, non è da tutti
di Antonio Calvano
