Riflessioni di un malato terminale alla natura
Due mesi fa la conferma: dovrò morire a breve! Nonostante le rassicurazioni sicuramente false dei medici e lo spirito di sopravvivenza che sembra vincere su tutto, stavolta ho perso. E’ incredibile come possa cambiare la visione delle cose ad una notizia simile e non nascondo che all’inizio ho avuto qualche speranza anch’io, poi scemata pian piano con la forza di quella poca ragione rimastami. La mia aspettativa di vita è limitata, lo so per certo, mi sono informato tanto in questi due mesi ed ho deciso di non chiedere neanche più. Mi addormento sereno la sera perché non ho male da nessuna parte per il momento e dopo quel poco che riesco a mangiare per cena, in compagnia di questo maledetto sigaro che non mi ha mai lasciato, accompagno il sole a dormire con lo sguardo rivolto ad una campagna che non è mai uguale e che guardo come un’opera d’arte per ore ed ore, seduto su questo vecchio tronco che ho sistemato proprio vicino all’uscio di casa tanti anni fa. E’ maggio, per me il mese più bello dell’anno perché la temperatura è tiepida, non umida, non fastidiosamente calda o fredda. E’ il mese più gioioso perché sta rinascendo tutto qui fuori; è impossibile non scorgere la rinascita in ogni punto in cui si volge lo sguardo, è l’esplosione della vita che colora tutto e che canta in questo periodo le sue più belle canzoni. Ma non devo abbassare lo sguardo, devo tenerlo dritto sulla natura per stare sereno perché quando abbasso gli occhi, incrocio le mie braccia e le mie gambe ormai troppo vecchie e stanche, respiro il fumo del sigaro che mi entra dal naso e mi da fastidio: li innanzi a me la vita, qui dentro di me la morte! …ed allora guardo avanti, sono dolci i ricordi, nessun rimpianto. Ho deciso di vivere la vita senza una mia famiglia: solo qualche amico, i miei animali, i cani da caccia e questa ardente passione per la natura. Sta calando sempre più il buio, i ricordi vanno alla gioia di quando vedevo crescere una piantina dal seme che avevo posto sotto la terra, dal volo bizzarro e veloce delle anatre all’alba, dai pesci scaltri e furbi del torrente che confina con la mia campagna. Sono sereno perché quando lascerò questa vita e ritornerò li fuori nei posti che amo, nessun figlio e nessuna moglie mi piangerà; non piangeranno nemmeno i miei cani perché loro sanno, loro capiranno. Mi rimane, adesso, la memoria e lo sguardo davanti a me, di quella natura che non si interessa affatto della vita e della morte e che, forse proprio per questo, amo così tanto.
(queste riflessioni sono state raccolte in prima persona da un amico de “el Vecio”, come lo chiamavano in paese, in una perfetta sera di maggio, quando era seduto accanto a lui, su quel tronco vicino all’uscio della sua casa in mezzo la campagna. Quindici giorni dopo el Vecio ha lasciato questa vita, dicono per sopravvenute complicazioni alla malattia…o forse semplicemente perché aveva fretta di ritornare in quel luogo che tanto amava, posto davanti il suo sguardo)