Animalisti. La debolezza dei violenti

In un mondo che cambia molto rapidamente è necessario di tanto in tanto analizzare le trasformazioni in atto per capire quale direzione prenderanno le varie parti attrici che concorrono in una determinata questione, e quella che a noi interessa maggiormente è la “questione animale”.

Sviluppatasi qualche decennio fa, gettate le basi della sua filosofia, la “questione animale” intesa quale ideologia dai risvolti etico-morali relativamente al rapporto uomo-natura, ha rapidamente coinvolto il nostro modo di pensare e di agire, provocando cambiamenti (anche positivi) nei rapporti che l’uomo ha con gli altri animali e l’ambiente. Personalmente seguo il fenomeno in Italia dell’animal-ambientalismo da quando è nato ed ho notato che se è pur vero che anche nel mondo della caccia e della ruralità in generale, ci sono state in questi anni delle trasformazioni importanti, spesso legate più a fattori ambientali che a trasformazioni sociali, il mondo di chi si professa “difensore dell’ambiente” additando come male assoluto tutto ciò che guarda alla ruralità ed alle tradizioni dell’uomo, ha subito trasformazioni più veloci e radicali che meritano, oggi, una considerazione in anticipo sui tempi che verranno. In principio erano i cosiddetti ambientalisti che si occupavano della questione animale e, con il senno di poi, dobbiamo dire che a volte lo facevano anche molto bene. Negli anni ’70 il movimento verde, prendendo di mira solo alcune attività rurali, ha gettato le basi di questa rivoluzione ambientale che nel corso degli anni si è però clamorosamente persa per strada. Nell’ultimo decennio abbiamo assistito ad una improvvisa virata dell’ambientalismo tradizionale verso l’ideologia animalista che, come ben sappiamo, ha cominciato ad occuparsi di tutte le categorie rurali, rifiutando qualsiasi tipo di dialogo e provocando un profondo distacco dell’uomo dalla natura e dalle sue tradizioni, presentando all’opinione pubblica l’utopia di una natura buona, un uomo cattivo ed una concezione della vita in generale che corrisponde alla realtà solo se ci si distacca completamente dalla natura e si vive “rinchiusi” nelle città.

E’ però in atto in questi ultimi tempi un cambiamento del movimento animalista molto importante e che influenzerà sicuramente le componenti interessate alla “questione animale”; e di questo cambiamento dobbiamo approfittare!

Per cambiamento intendo “la modalità di azione del movimento” che, come per tutti i movimenti sociali, segue diverse fasi di sviluppo ed ha un suo ciclo vitale ben definito. Fasi e sviluppi dei movimenti in generale sono infatti stati analizzati e descritti dal sociologo statunitense Herbert Blumer e nelle sue analisi ritroviamo anche il ciclo vitale del movimento animalista. Il sociologo affermava che in tutti i movimenti si usano forme di protesta non convenzionali che si trasformano in azioni atte ad interrompere quel che viene definita la “routine quotidiana”. Queste forme di protesta si suddividono in non violente, perturbative e violente. Ebbene: le forme di violenza vengono utilizzate dai movimenti sociali nel momento in cui le azioni non-violente e perturbative perdono la capacità di colpire l’antagonista e non influenzano più di tanto l’opinione pubblica.

I fatti violenti e terroristici portati avanti da alcuni gruppi animalisti come ad esempio i recenti e continui atti vandalici alle auto dei cacciatori (e non solo a quelle dei cacciatori), le consuete rappresaglie negli allevamenti, gli atti terroristici sempre più frequenti alle altre attività rurali, gli assalti a cacciatori e pescatori, confermano che siamo nella fase della violenza. Una violenza “dovuta” proprio perché le azioni precedenti di protesta non hanno, se non in parte, scalfito l’obiettivo da colpire e non stanno più sortendo la visibilità mediatica di un tempo, cosa quest’ultima che è ritenuta fondamentale per la propaganda di un movimento sociale. I fatti violenti nel movimento animalista erano un tempo sporadici, più che altro posti in essere da qualche isolato soggetto dal quale gli animalisti stessi, seppur molto timidamente, prendevano a volte le distanze. Le prevaricazioni e le violenze a persone o i danneggiamenti materiali sono invece diventati ultimamente fatti di cronaca settimanale e, cosa assai grave, il resto del mondo animalista non le condanna più, anzi, altri gruppi simili le esaltano. Secondo Blumer è il passaggio dalla logica dei numeri, quella che attraverso azioni non violente tipo il volantinaggio informativo o la manifestazione pacifica punta a far vedere un grosso numero di sostenitori e simpatizzanti del movimento, alla logica della prevaricazione tramite violenza in quanto le azioni precedenti non sono più sufficienti a garantire obiettivi, visibilità e quindi propaganda. Come conclude il sociologo statunitense? - I movimenti sociali che si radicalizzano, usando forme di azione meno convenzionali e quindi violente, tendono con il tempo ad isolarsi dal mondo esterno.

In una società civile e democratica è naturale pensare che gruppi violenti debbano essere emarginati ed isolati, quand’anche condannati e puniti con leggi giuste. Ma c’è anche dell’altro che possiamo fare: il nostro compito è quello di mostrare sempre questo volto violento dell’animalismo all’opinione pubblica, far capire che il loro obiettivo non è solo il cacciatore, il contadino, il pescatore o l’allevatore ma tutti quelli che non la pensano come loro e non seguono alla lettera le regole di questa ferrea ideologia. Lo scrittore Wolfgang Goethe, considerato uno degli uomini più rappresentativi di sempre nel panorama culturale europeo, diceva che “chi è nell’errore compensa con la violenza ciò che gli manca in verità e forza”. E’ questo il messaggio che dobbiamo far arrivare chiaro e forte all’opinione pubblica.

Tratto da Big Hunter

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