Filosofia rurale intervista gli animalisti
In una intervista esclusiva per Filosofia rurale, Mariangela Corrieri, animalista e Presidente dell’associazione Gabbie Vuote – Onlus di Firenze, ci spiega il punto di vista del variegato mondo dell’animalismo sulle tematiche che stanno a cuore alla nostra cultura di provenienza, quella rurale. Le abbiamo chiesto di concederci questa intervista non certamente per convincere con le nostre pungenti domande o farci convincere, l’impresa sarebbe titanica, talmente diverse sono le visioni sull’esistenza in generale, quanto perché non potevamo lasciarci sfuggire l’occasione di capirne un po’ di più.
FR: Gentile Sig.ra Mariangela, innanzitutto la ringraziamo per questa intervista. Filosofia rurale è composta da pensatori il cui rapporto uomo-ambiente è quello di cacciatori, pescatori, contadini, allevatori ma anche circensi e ricercatori scientifici che impiegano la sperimentazione animale. Visioni completamente diverse il cui dialogo a volte parrebbe impossibile. Lei ritiene invece sia possibile un dialogo costruttivo con le categorie rurali?
Mariangela: Penso che lo scambio di opinioni non abbia lo scopo di convincere ma di allargare gli orizzonti. Secondo me deve sempre avvenire. Sappiamo tutti di persone che da nere sono diventate bianche ovvero hanno sovvertito il loro vecchio credo. Hanno smesso di cacciare, di sperimentare, di indossare pellicce, di mangiare animali e perfino convertito il proprio allevamento in un’azienda incruenta. Quindi, perché non dovrebbe essere possibile? Tutto è possibile alla volontà dell’uomo basta che l’intelletto apra la porta a nuove visioni sostenute dalla coscienza, dalla riflessione e dall’empatia. Nessuno è nato formato, si forma vivendo. E' nostro dovere avanzare, evolvere, fare passi verso il nostro miglioramento allo stesso modo in cui un atleta o un artista si esercita per conseguire un traguardo. Non resta fermo, si muove, quindi cambia.
FR: Un contadino che si alleva in aperta campagna le sue galline, il cacciatore che preda il fagiano e lo mangia al posto di un altro animale, il pescatore che preleva il pesce sufficiente per cibarsene con la sua famiglia, Lei come li vede? L’animalismo li condanna?
Mariangela: Queste modalità di vita che lei esprime hanno le radici nel passato. Le galline sono allevate in gabbie di batteria grandi quanto un foglio di carta, la caccia viene fatta con armi da guerra e non per necessità ma per divertimento; perfino il pesce viene allevato e i tonni tingono il mare di rosso. Oggi l’uomo corre, nel male ma anche nel bene, sia grazie alla comunicazione globale, sia grazie alla maggiore libertà da convenzioni e condizionamenti. Quindi chi mangia un animale, cioè un essere vivente senziente che, come noi, difende la propria vita, o non sa quello che fa (e quindi vive da automa) o accetta il suo condizionamento (non ha le capacità per metterlo in discussione) oppure resta insensibile alla sofferenza e quindi rinnega quella che con tanta arroganza i migliori hanno vissuto come “umanità”.
FR: Gabbie vuote, il nome della sua associazione, è anche un libro pilastro dell’animalismo del filosofo Tom Regan. Con lui, l’altro paladino degli animalisti, possiamo definirlo il “padre spirituale”, il filosofo australiano Peter Singer, rettore di una delle cattedre di bioetica più importanti al mondo. Lei ritiene che lo stile vegan appartenga, per così dire, ad un’etica superiore?
Mariangela: E’ vero, Tom Regan è un pilastro dell’animalismo a cui ho avuto il piacere di stringere la mano. In gioventù, per pagarsi gli studi universitari ha lavorato in una macelleria. Come vede si può cambiare, d'improvviso si accende in noi una lampadina. Per rispondere sullo stile vegan superiore, se il "non uccidere" (V comandamento) appartiene ad un etica superiore in quanto rappresenta il cardine delle leggi morali, perché no? I vegan non solo non uccidono ma rifiutano di sfruttare la sofferenza altrui. E’ certo che non si può essere vegan perfetti in un mondo regolato da infiniti labirinti (mercato, salute, origini, ignoranza…) ma si può camminare per avvicinarci sempre più.
FR: Come giustifica che Peter Singer mette sullo stesso piano l’uomo e l’ultimo verme strisciante sulla terra mentre è favorevole all’eutanasia e all’aborto fino ad arrivare alla soppressione di persone con gravi handicap?
Mariangela: Peter Singer fa un ragionamento matematico, compie un’equazione. La vita è il comune denominatore dell’uomo e del verme. Dice: “Se un essere soffre non esiste alcuna giustificazione morale per rifiutare di prendere in considerazione tale sofferenza”. Svincolandoci da dogmi, preconcetti, paure, ecc. se un essere soffre e dovrà morire perché non liberarlo dalla sofferenza? Sono stata d’accordo con il padre di Eluana Englaro. Per quanto riguarda l’aborto, essendo una questione molto personale e femminile, lascerei alle donne il giudizio. Invece non avendo memoria di quella che lei chiama “la soppressione di persone con gravi handicap” dovrei rileggermi Liberazione Animale per capire il senso in cui questo concetto filosofico e non certo pratico è stato espresso. Lo farò.
FR: Il Terzo Reich di Hitler, vegetariano convinto, basava il suo credo su un’etica superiore e fu anche il primo a parlare di contrarietà alla vivisezione emanando norme ben precise sul benessere animale, come ad esempio il corretto trasporto dei bovini in treno. Il tutto nel mentre veniva compiuta sull’uomo la più grande atrocità di tutti i tempi. Molti saggisti, sociologi e filosofi mondiali hanno trovato una tremenda analogia tra l’animalismo ed il nazismo. Lei che ne pensa?
Mariangela: Hitler vegetariano convinto come lei dice, è ancora una leggenda ma anche fosse, lo è stato per un comportamento “reattivo” come scrive Erich Fromm nel suo testo Anatomia della distruttività umana nel quale racconta che Hitler smise di mangiar carne dopo aver ucciso sua nipote e amante per voler dimostrare la sua incapacità di uccidere (reazione). Un vegetarismo il suo che niente ha a che fare con l’animalismo di cui parliamo, quello che rinnega ogni violenza, che rispetta ogni forma di vita, che combatte la crudeltà e la sofferenza, che accetta le diversità. Un animalismo che sposa gli ultimi di ogni specie senza difficoltà anche se spesso, la rabbia e il dolore, emergono come ribellione verso una società che ha inventato la macchina tritapulcini (vivi).
FR: L’animalista vegano è contrario alla sofferenza ed all’uccisione di qualsiasi animale e conduce battaglie contro l’uomo che li sfrutta; poi magari non ci fa caso se guidando l’auto di notte d’estate uccide decine di migliaia di insetti, farfalle ed altri animali. Non trova che condurre una battaglia animalista sia piuttosto inutile ed estremamente incoerente?
Mariangela: Come ho detto in precedenza, l’uomo è imperfetto, viaggiando in auto può uccidere insetti e anche uccelli o gatti e cani che attraversano la strada ma non lo fa con volontà o peggio con premeditazione. Vivere comporta dei rischi e anche un animalista può andare sotto una macchina o precipitare con un aereo senza che i conduttori siano colpevoli. Chi uccide consapevolmente è colpevole o, se si preferisce, responsabile dell’atto. Non si può fare, come dice il proverbio, di ogni erba un fascio. Una cosa è l’insetto che si schiaccia contro il vetro dell’auto, un’altra è la volontà di fucilare o sezionare o sgozzare un umano o un animale. Condurre una battaglia animalista ha un lieto fine: "Un animale salvato è un mondo salvato".
FR: Che ne pensa della moda del cibo vegan anche per i cani ed i gatti degli animalisti?
Mariangela: Posso dirle il mio personale pensiero senza generalizzare. Cani e gatti provengono dal lupo e dal gatto selvatico addomesticati dall’uomo in tempi diversi. Sono predatori. Il vegano che accoglie un cane o un gatto accoglie animali che predano. Il cane però, negli oltre centomila anni trascorsi dalla sua domesticazione, è diventato onnivoro e quindi può mangiare qualunque cosa ed escludere la carne ma il gatto, domestico da soli cinquemila anni, è carnivoro specifico, morirebbe. Alcuni vegani offrono cibo vegano o lo fanno in alcune circostanze, ma la maggior parte non intende violare le leggi biologiche a cui imperativamente gli animali sottostanno. Conclusione: il cane e il gatto entrano nelle case di chiunque senza collidere con le teorie etiche di nessuno anche quando venissero alimentati con altri animali (come farebbero fossero liberi o randagi). Le leggi biologiche sono al di sopra dell'uomo, almeno fino a che costui non si crede Dio.
FR: E’ matematicamente e scientificamente provato attraverso studi, ricerche e statistiche di esperti e faunisti internazionali che l’intervento dell’uomo sulla natura, come ad esempio la caccia di selezione agli ungulati, è indispensabile per la preservazione non solo della specie oggetto di caccia ma di tutte le altre specie che vivono in quell’habitat. Lei crede nella scienza o pensa sarebbe meglio lasciar fare sempre alla natura a costo di far scomparire specie?
Mariangela: Credo nella scienza che non sovverte le leggi della Natura, che risolve i problemi creati dall’uomo. E, visto che sul pianeta Terra siamo 7 miliardi e nel 2050 saremo 10 miliardi, i problemi sono tanti e il sovvertimento delle leggi naturali stanno ormai varcando i confini dell’accettabile. Consideri il cambiamento climatico. Per quanto riguarda la caccia offro alla meditazione un dato: il cinghiale maremmano autoctono è stato estinto dai cacciatori che hanno importato quello più grande e prolifico dell’Est Europa, che hanno allevato, ripopolato e foraggiato, hanno ibridato con il maiale. Quindi, chi è il colpevole? Esperienze varie di ricercatori, fra cui uno studio di Norbert Happ, noto conoscitore tedesco di cinghiali e anche cacciatore, apparso sulla rivista venatoria Wild und Hund (nr.23/2002) che stabilisce come “L'aumentata riproduzione è causata dall'uomo…Relazioni sociali disordinate con estri non coordinati e moltiplicazione incontrollata sono da imputare esclusivamente all'esercizio della caccia”, conferma quanto sosteniamo e non solo dal punto di vista etico-filosofico ma anche scientifico-pratico.
FR: La nutria è stata inserita dalla Comunità Europea nella black list delle 100 specie più dannose per la biodiversità. E’ una specie alloctona e qui non ha predatori. Altri metodi non cruenti per il suo contenimento non ne esistono e sterilizzare una nutria costerebbe alla collettività circa 300 euro l’una. Le lasciamo riprodurre all’infinito perché non è corretto eradicarla anche se facesse scomparire tutte le altre specie autoctone dai nostri fiumi?
Mariangela: La nutria è stata importata dal Sudamerica per la pelliccia, non è arrivata a nuoto. Quando il mercato è crollato gli allevatori hanno pensato bene di liberarla per non pagare lo smaltimento delle carcasse. Anche se non ha predatori naturali è soggetta ad un alto livello di mortalità a causa del freddo invernale. Non esistono specie autoctone rivali della nutria erbivora perché la lontra regina dei fiumi, quasi del tutto eradicata, non sarebbe assolutamente concorrente in quanto carnivora. Noi umani siamo bravi a cambiare aggettivo, classificazione, legge secondo il nostro comodo e la nutria da animale selvatico "è diventato" successivamente alloctono, naturalizzato, nocivo, invasivo e, di pari passo, è cambiata la sua vicenda vitale. Nel 2010 l’IUCN ha stabilito che la nutria non rappresenta un problema in quanto la popolazione mondiale di castorino è in decremento. Ma ucciderla va sempre per la maggiore.
FR: In campo medico attualmente non esistono validi modelli alternativi alla sperimentazione animale (se ci fossero verrebbero impiegati in quanto la sperimentazione con gli animali prevede costi elevatissimi). Tutte le medicine, anche le più banali, e le pratiche mediche (vedi il recente intervento subito da Berlusconi con la valvola aortica di bovino) sfruttano gli animali. Lei cosa farebbe, o meglio, come dovrebbe comportarsi un vero animalista?
Mariangela: Il sadismo dei vivisettori è simbiotico con quello del loro predecessore Cartesio che considerava l’animale alla stregua di una macchina e i suoi lamenti il battito delle lancette di un orologio. Esistono istituti in Italia (IPAM) e in Europa (ECVAM) per la validazione dei metodi sostitutivi e aziende che li ricercano ma, la maggiro parte dell'industria farmaceutica continua per la sua strada in quanto gli interessi sono miliardari e una pigrizia mentale causata dall'assuefazione pluridecennale inficia ogni volontà di cambiamento. Nonostante la carneficina di milioni di milioni di vittime nel mondo e nel tempo, il 92% dei farmaci che risultano innocui sugli animali vengono poi scartati durante le prove cliniche sull’uomo (dato di “Pubmed”, Inghilterra). Il prof. Bruce Ames, Università di California dichiara: "Il 43% dei risultati ottenuti sui topi discordano da quelli ottenuti sui ratti, loro stretti parenti, o viceversa". La ricerca scientifica è sovrastimata e frasi che la sostengono non fanno altro che ingenerare nelle persone la convinzione che ricerca = scienza = verità. Il dogma della vivisezione quale necessità assoluta diventa una religione, una rinuncia a tutte le risorse della mente, la completa sottomissione della volontà e l'ardore del fanatismo. Facciamoci una domanda: perchè in tanti decenni di sperimentazione e miliardi di miliardi impiegati, il cancro non è stato debellato? Ricordiamoci di Sabin che creò il vaccino contro a poliomelite, rinunciò al brevetto e quindi ai guadagni, lo diffuse fra i poveri e tutto dopo averlo sperimentato su se stesso. Un abisso morale!