Il dolce suicidio dell'uomo

Più che la vita, è la morte che dovrebbe avere un senso!

In questi giorni abbiamo letto grandi discussioni circa il suicidio assistito di Dj Fabo che ha scelto la “dolce morte” praticata legalmente in Svizzera a persone capaci di intendere e volere.

Innanzitutto dobbiamo precisare che il suicidio assistito non c’entra nulla con l’eutanasia il cui atto finale non è eseguito in modo autonomo e volontario, come invece è successo per Fabo e per tutte quelle persone che decidono di lasciare questa vita in maniera consapevole. Non ci sentiamo di esprimere alcun commento sul cosa sia giusto o no, rispettando la volontà soggettiva per un tema che si rivela estremamente complesso; una riflessione etica e filosofica però la vogliamo fare.

Pensate a quale tremenda conduzione di vita spetterebbe all’uomo se non sapesse che, tuttavia, esiste la possibilità di dar fine alle sue eventuali terribili sofferenze. Il suicidio tra l’altro pare essere a disposizione di chi ha la consapevolezza di cosa significhi morire e vivere; negli animali non è praticato, od almeno non si è certi che quei pochi casi dubbi riscontrati in natura siano stati commessi con consapevolezza.

Sia da un punto di vista religioso che etico, il suicidio è sempre stato generalmente condannato. Per gli antichi filosofi greci, il suicida era un disertore di questa vita e la legge ateniese esponeva pubblicamente la salma al vilipendio del popolo. In epoca moderna il tema è stato ben affrontato da Schopenhauer. Per il filosofo, nonostante la vita fosse intesa per lui come sofferenza ed infelicità, il suicidio non era una soluzione perché la volontà di vivere è immortale ed il gesto di chi lo pratica ne intacca solo il fenomeno. Qual è la causa di tutta questa sofferenza per Schopenhauer? L’uomo tende sempre più all’appagamento dei suoi desideri materiali ma la felicità che ne deriva è di breve durata ed insoddisfacente. Una volta appagati questi desideri ne arrivano di nuovi ma la nostra “volontà” non ne è appagata. Di fronte a questa esistenza, l’uomo ha due scelte etiche: o “afferma la vita” accettando che la volontà è l’unica realtà, oppure la nega rinunciandovi.

Tra i massimi sostenitori di suicidio assistito ed eutanasia troviamo il filosofo australiano Peter Singer, il paladino della filosofia animalista; egli afferma che se una vita non può essere condotta dignitosamente, è giusto sopprimerla. E’ un bene per l’umanità accettare che il suicidio diventi progressivamente un atto accettato e normale con il quale “beffare” la vita che si è “beffata” della vita di qualcuno? Chi stabilisce, o stabilirà, le regole affinché sia un atto accettabile? A quali condizioni?

L’uomo è sempre più incapace di soffrire e se avesse una scappatoia sempre più accessibile alle sofferenze cui la vita lo sottopone, noi pensiamo sarebbe un enorme danno per la sopravvivenza della nostra specie. Basti pensare che le cure ed i trattamenti medici che abbiamo oggi, anche per le malattie rare, sono state create grazie a chi non voleva morire a tutti i costi, a chi si è aggrappato fino all’ultimo a questa esistenza. Pensiamo alla condizione del più grande astrofisico mondiale Stephen Hawking ed a quello che, nonostante la sua condizione e sofferenza, ci ha donato spiegandoci addirittura l’origine dell’universo. Noi siamo grati a loro!

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