Il nonno
Erano passati solo pochi mesi dalla morte della nonna quando ci trasferimmo in quell’appartamento di un grande palazzone senza colore. Avevano fretta di liberare la nostra campagna e spedirci nel nuovo quartiere ed il grigiore di malta ancora fresca sui muri di quel condominio cambiava rapidamente l’odore del primo vento tiepido di primavera. I miei genitori dicevano che la nonna era venuta a mancare perché malata da tempo ma io, appena adolescente, avevo visto che i suoi occhi si erano spenti da quando le avevano dato la notizia che avrebbe dovuto lasciare la sua vecchia fattoria per trasferirsi in quell'appartamento. Mia nonna piangeva con gli occhi anche quando voleva sorridere; mia nonna non era malata da tempo, si era spenta velocemente come una candela a cui manca l’ossigeno. I nonni abitavano in quella campagna da quando erano nati. Ci abitavano anche i miei genitori ma dopo il matrimonio si erano trasferiti poco più in la, in una borgata di qualche decina di case semidiroccate che mio nonno chiamava città. Avevano costruito tutto nuovo in poco tempo, ci stavano facendo passare una strada, qualcuno diceva che sarebbe dovuta passare anche una ferrovia e sarebbero sorti dei centri commerciali ma nessuno sapeva cosa volesse dire quella parola, molti pensavano ad un restauro della vecchia bottega del pane e dei formaggi. I miei ricordi di quella campagna e dei nonni è tuttora vivo. Ricordo due persone solari e felici…io, il nipote, ero l’orgoglio al quale insegnare la natura e la dura vita di campagna, quello a cui far respirare a fondo l'odore del letame delle vacche perché apriva i polmoni, ed una volta era veramente così. Con la devastazione di quella campagna se ne sono andati quasi tutti i vecchi, avevano fatto la fine della nonna. Mio nonno no, resisteva ancora e così venne ad abitare con noi in quell’appartamento dalle tante comodità...non serviva più tagliare la legna per l’inverno, anche perché i boschi li intorno li avevano ormai tagliati tutti per far spazio alla malta grigia. Mio nonno stava tutto il giorno a guardare fuori dalla finestra i lavori delle nuove costruzioni, laddove un tempo si riposava all’ombra di un grosso rovere. Pareva la vedesse ancora la sua campagna, pareva fosse ancora sotto quel rovere…ma stavolta con gli occhi tristi. Un giorno, mentre mio nonno guardava fuori dalla finestra mi chiese se scivolando dal quel balcone ci si sarebbe potuti far male. Mi raggelai, non tanto per quelle parole, quanto per il suo sguardo lucido ma convinto che non fissava la strada sottostante ma l’orizzonte della sua vecchia campagna. Mi affrettai a dirgli che ci si sarebbe fatti solo male ma dal terzo piano in cui stavamo non sarebbe stato così. Cambiò subito discorso il nonno perché intuì che avevo capito quello che voleva dire e fare, ero l’unico in famiglia che l’aveva capito. Nei giorni a seguire rincasavo velocemente da scuola per stare con il nonno, non me la sentivo di lasciarlo solo. Lo portavo nell’unica vecchia osteria rimasta del paese, inglobata all’interno delle nuove costruzioni. Di pomeriggio non andavo più a giocare a pallone con gli amici per stare con lui ed il suo sguardo in quei giorni era diventato meno cupo; non l’avrebbe mai fatto quel gesto, non l'avrebbe mai fatto per me. Si metteva sempre alla finestra ma i suoi occhi si muovevano stavolta e non fissavano come sempre il vuoto della sua vecchia campagna ormai trasformata in malta grigia. Mio nonno morì qualche anno dopo. Piansero tutti quel giorno ma io no, io sapevo che lui era già morto quando abbandonò la sua terra.