Si sgretolano le mura...

Si sgretola, come queste mura, la storia delle mani che le hanno costruite; fatiche e privazioni, sudore e sacrificio per strappare terra alla “Natura” prima che questa diventasse Santa ed intoccabile.
Si sgretolano le mura e la cultura di questi avamposti ormai troppo lontani dalla “civiltà”; si sgretolano sacrificati all’altare di quella “Natura metafisica”, ormai anch’essa troppo distante ed intoccabile: divinità assoluta di un paganesimo urbano, sciatto e disumano.
Sì sgretolano le mura e la “Natura” stessa sotto i colpi di chi, per proteggerla, ne tiene fuori chi finora l’ha difesa.

G. Milana

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Ricordi, riti rurali.

Se guardo fuori c’è ancora neve e allora penso a quando si attendeva il freddo per macellare il maiale in casa. Ho trovato delle foto, a molti sembreranno solo delle foto, invece sono il racconto di una cultura rurale ed essenziale. Un rito annuale, un appuntamento e una festa. Quindi non solo macellazione ma tradizione, appartenenza, passaggi generazionali.
I bambini, i ragazzi assistevano, imparavano, "rubavano con gli occhi" ciò che avrebbero fatto "domani"; ed imparavano a rispettare la vita di quell'animale, il lavoro per crescerlo e la ricchezza che derivava dal sacrificio di quella bestia. Con fatica, privazioni e resistenza le generazioni che ci hanno preceduto sono riuscite a mantenere un legame con il territorio e a valorizzarne le peculiarità.
Oggi?
Oggi foto del genere feriscono la sensibilità di quelli che delegano agli altri la morte di esseri viventi per proprio tornaconto. Il sangue sparso lontano dagli occhi è sangue che non sporca le coscienze, che non percola e non macchia né mani né indumenti. Come se quel sangue, una volta nascosto, non fosse più versato; la carne si mangia senza neanche capire cosa sia e da dove provenga. Non credo che questo ci renda persone migliori, sporcarsi direttamente di quel sangue, con coscienza e consapevolezza, è sicuramente meglio che credere di essere puliti pur contribuendo indirettamente a versarlo.
E pensare che queste foto potrebbero essere il racconto di una vita di sussistenza, di sostenibilità, in un contesto rurale osannato e santificato ma relegato ad “icona” intoccabile da mistici urbani che distribuiscono ai villici pillole di saggezza su come fare ciò che quelli hanno fatto da sempre.

Giuliano Milana

Onore alle prede

Raro è l'onore di ossequiare i frutti di cui ci nutriamo.
Merce acquistata della cui provenienza ne abbiamo memoria solo grazie ad una fredda e stampata etichetta.
Fortunato è il cacciatore, che conosce la sua preda, la osserva da tempo, la studia, anticipa le sue mosse e ne comprende le astuzie. Ci avrà già provato, forse è la terza o addirittura la quarta volta di un insuccesso nel tempo protratto. Si arma la scaltrezza e l'astuzia vince sulla sagacia della preda.
Ed il frutto assume un ascetico valore.
E pretende gli onori.
Un bacio, le piume rassettate. Nelle mani la preziosità della vita prende senso. Induce a riflettere. E nasce il rispetto. E veneri la morte. E non ti fa paura.
È un ritorno al prezioso ciclo che ne ha preteso il sacrificio.
E nulla verrà sprecato.

La distanza accresce. Il mio vivere rurale sorvola e schernisce ipocrisie dilaganti.

Sono sporco di fango e sangue...

Antonio Calvano

Vacanze rurali, vacanze intelligenti

Tempo di vacanze; molti, forse i più, le passeranno in luoghi rurali, laddove i residenti ci sono tutto l’anno, ci lavorano e svolgono le attività legate al nostro passato.

Per qualche settimana, orde di cittadini poggeranno i loro piedi nei nostri luoghi sacri, quelli che viviamo giorno e notte, per 365 giorni l’anno. Lo faranno cercando di immergersi in quella vita la cui falsata immagine bucolica trasmessa da una comunicazione urbana distorta, mancante dell’esperienza sul campo, non avrà minimante il sapore della realtà della natura e del ciclo delle stagioni nella maniera in cui sono vissute da chi li ci è nato e ci abita.

Si parla spesso, giustamente, del rispetto da riservare all’ambiente durante le vacanze, all’attenzione da porre agli animali che lo abitano, a non lasciare i rifiuti dei pic nic con prodotti da supermercato nei boschi…ai fuochi, triste tragedia di questa calda estate.

C’è anche un altro rispetto per noi fondamentale ed è proprio quello da riservare agli abitanti, vengono sempre prima loro perché, in quei luoghi, si è ospiti; il rispetto per le attività che praticano, all’allevamento che li mantiene, alla terra che coltivano, alle usanze e costumi che hanno saputo mantenere e custodire gelosamente per trasmetterli alle nuove generazioni nel corso dei secoli.

Se avete occasione e veramente volete capirne di più, scegliete una guida del posto, un allevatore che vi porti a vivere il pascolo, a mungere, a fare i formaggi. Se siete in montagna seguite un cacciatore, è tempo di censimenti della fauna. Se siete al fiume o al mare, alzatevi presto e seguite il pescatore che vi guiderà a scoprire i segreti dell’acqua e dei suoi abitanti. Mangiate i loro prodotti, dategli una mano ad allevare, a cacciare, a pescare, a raccogliere…seguitene l’uccisione e dategli una mano a pulire quello che poi troverete sul piatto alla sera; in questo modo imparerete a rispettare il cibo che mangerete anche durante l’anno in città e quella falsata immagine bucolica della natura e della vita in generale comincerà a prendere forma e contorni più veri, più reali, più naturali.

Buone vacanze rurali!

Filosofiarurale.it

 

Il nonno

Erano passati solo pochi mesi dalla morte della nonna quando ci trasferimmo in quell’appartamento di un grande palazzone senza colore. Avevano fretta di liberare la nostra campagna e spedirci nel nuovo quartiere ed il grigiore di malta ancora fresca sui muri di quel condominio cambiava rapidamente l’odore del primo vento tiepido di primavera. I miei genitori dicevano che la nonna era venuta a mancare perché malata da tempo ma io, appena adolescente, avevo visto che i suoi occhi si erano spenti da quando le avevano dato la notizia che avrebbe dovuto lasciare la sua vecchia fattoria per trasferirsi in quell'appartamento. Mia nonna piangeva con gli occhi anche quando voleva sorridere; mia nonna non era malata da tempo, si era spenta velocemente come una candela a cui manca l’ossigeno. I nonni abitavano in quella campagna da quando erano nati. Ci abitavano anche i miei genitori ma dopo il matrimonio si erano trasferiti poco più in la, in una borgata di qualche decina di case semidiroccate che mio nonno chiamava città. Avevano costruito tutto nuovo in poco tempo, ci stavano facendo passare una strada, qualcuno diceva che sarebbe dovuta passare anche una ferrovia e sarebbero sorti dei centri commerciali ma nessuno sapeva cosa volesse dire quella parola, molti pensavano ad un restauro della vecchia bottega del pane e dei formaggi. I miei ricordi di quella campagna e dei nonni è tuttora vivo. Ricordo due persone solari e felici…io, il nipote, ero l’orgoglio al quale insegnare la natura e la dura vita di campagna, quello a cui far respirare a fondo l'odore del letame delle vacche perché apriva i polmoni, ed una volta era veramente così. Con la devastazione di quella campagna se ne sono andati quasi tutti i vecchi, avevano fatto la fine della nonna. Mio nonno no, resisteva ancora e così venne ad abitare con noi in quell’appartamento dalle tante comodità...non serviva più tagliare la legna per l’inverno, anche perché i boschi li intorno li avevano ormai tagliati tutti per far spazio alla malta grigia. Mio nonno stava tutto il giorno a guardare fuori dalla finestra i lavori delle nuove costruzioni, laddove un tempo si riposava all’ombra di un grosso rovere. Pareva la vedesse ancora la sua campagna, pareva fosse ancora sotto quel rovere…ma stavolta con gli occhi tristi. Un giorno, mentre mio nonno guardava fuori dalla finestra mi chiese se scivolando dal quel balcone ci si sarebbe potuti far male. Mi raggelai, non tanto per quelle parole, quanto per il suo sguardo lucido ma convinto che non fissava la strada sottostante ma l’orizzonte della sua vecchia campagna. Mi affrettai a dirgli che ci si sarebbe fatti solo male ma dal terzo piano in cui stavamo non sarebbe stato così. Cambiò subito discorso il nonno perché intuì che avevo capito quello che voleva dire e fare, ero l’unico in famiglia che l’aveva capito. Nei giorni a seguire rincasavo velocemente da scuola per stare con il nonno, non me la sentivo di lasciarlo solo. Lo portavo nell’unica vecchia osteria rimasta del paese, inglobata all’interno delle nuove costruzioni. Di pomeriggio non andavo più a giocare a pallone con gli amici per stare con lui ed il suo sguardo in quei giorni era diventato meno cupo; non l’avrebbe mai fatto quel gesto, non l'avrebbe mai fatto per me. Si metteva sempre alla finestra ma i suoi occhi si muovevano stavolta e non fissavano come sempre il vuoto della sua vecchia campagna ormai trasformata in malta grigia. Mio nonno morì qualche anno dopo. Piansero tutti quel giorno ma io no, io sapevo che lui era già morto quando abbandonò la sua terra.