Onnivori o vegetariani?

  Affascinato dall’originalità che ispira certi movimenti a determinate scelte di vita e nella mia dilettevole ricerca anche di un sol pizzico di verità che possa illuminare almeno di riflesso le fredde, rigide e dogmatiche posizioni animal-radicali, mi sono reso conto, con il passar del tempo, che la “scelta vegana” dettata non da motivi salutistici e pertanto ispirata da argomentazioni etiche, trae il suo sostentamento più da un “atto di fede” che da un “atto di ragione”. Sul primo non disquisisco perché non sono mai riuscito a comprendere la sorgente della luce spirituale che arriva ad imporre scelte di vita così drastiche; sul secondo invece proviamo a ragionarci.

Tempo fa si disquisiva con un vegano del quale riporto qui sotto il suo ragionamento:

“Il nocciolo della questione non riguarda il fatto che sia un essere VIVENTE, ma che sia un essere SENZIENTE, ovvero in grado di avere esperienze soggettive (che allo stato attuale delle nostre conoscenze scientifiche corrisponde a tutti gli organismi biologici dotati di sistema nervoso).
Quindi, una carota, essendo vivente ma non senziente in quanto priva di sistema nervoso, è utilizzabile come cibo, mentre una gallina, essendo senziente, in quanto dotata di sistema nervoso, NON è utilizzabile come cibo.
Prevengo subito l’obiezione secondo cui anche le piante sarebbero sensibili. La mera sensibilità non è condizione sufficiente alla percezione soggettiva, esattamente come il termometro non prova “caldo” o “freddo” essendo sensibile alla temperatura.”

La prima “Singeriana” affermazione di quanto suesposto, sulla quale poi fra l’altro è stato costruito l’”atto di fede” animalista, deriva appunto dalla seguente riflessione:


La domanda da porsi non è se sanno ragionare, né se sanno parlare, bensì se possono soffrire“.

Chiaro che in tale contesto ci si riferisca solo ed esclusivamente al regno animale, ovverosia al mondo al quale appartiene anche l’uomo. Estendo più in la il filosofico ragionamento per il regno vegetale e vado ad aggiungere:
La domanda da porsi non è se sanno soffrire come gli animali, quindi come l’uomo, bensì se possono in qualche maniera tormentarsi”.
Circa un anno fa, attorno a questa importante domanda, s’è formata in rete una bellissima e lunghissima discussione dalla quale se ne sarebbe potuto trarre un libro. In quella discussione, oltre ai miei ed ai loro interventi, c’è stata la partecipazione di un medico neurologo il quale ha saputo ben articolare una risposta a quella domanda.
Le differenze cellulari tra il regno vegetale e quello animale non sono assolutamente così importanti. Da un punto di vista biologico, la reale linea di confine si pone invece su due ambiti. Il primo è quello che separa le linee cellulari eucariote, ovverosia gli organismi mono o pluricellulari formati da cellule con nucleo, dalle linee cellulari procariote, ovverosia dalle cellule prive di un nucleo ben definito. Il secondo ambito invece riguarda le linee riproduttive in base alle quali gli organismi si replicano autonomamente o in maniera sessualmente diversa. Ebbene, il regno vegetale condivide con noi gli stessi identici ambiti. Poi, oltre a quelle due differenze, inesistenti per gli animali e i vegetali, esiste il mondo dei “virus” ed infine, le capacità scientifiche dell’uomo hanno portato ultimamente alla scoperta di un altro mondo, ovverosia quello dei prioni ed enti similari.
Quindi, se noi vediamo questa grossissima differenza tra il mondo vegetale e quello animale, differenza che da un punto di vista biologico abbiamo constatato non esserci, le ragioni sono solo dovute al rilievo e all’importanza che diamo alle cose valutandole esclusivamente da un punto di vista soggettivo e sentimentale. E’ infatti appena sufficiente strappare una foglia da un albero per accorgersi che anche essa andrà lentamente a morire e l’albero dal quale è stata strappata, lavorerà con tutte le sue difese per rimarginare la ferita prodotta.
Risulta pertanto estremamente banale visionare il mondo che ci circonda, compreso quello minerale, rapportandolo costantemente all’esclusiva soggettività umana che lo percepisce solo attraverso quel ristrettissimo campo di onde elettromagnetiche comprese tra i 400 e i 700 millimicron. Come dire…al di fuori null’altro esiste!
Se non c’è pertanto alcuna differenza concettuale nel cibarsi di una carota o di un fagiano, cosa spinge il nostro personalissimo sentimentalismo ad optare per una scelta radicale così innaturale visto che, fra le altre cose, il nostro apparato digerente è molto più simile a quello dei carnivori che a quello degli erbivori?
E’ la paura della morte…propria! la paura della sofferenza…propria!
Non siamo più abituati alla realtà di questa vita che ci ha voluti animali come tutti gli altri. E’ possibile marcare questa posizione soggettiva anche sui tormenti dell’anima che certe persone dimostrano di fronte alla morte di un cerbiatto o alla morte, senz’altro meno sentita e meno importante, di un ratto di fogna. Tutto ciò che ricorda le nostre sofferenze e le nostre paure produce sdegno e rifiuto perché attraverso determinate azioni ci viene sbattuta in faccia una realtà che vogliamo disconoscere sempre di più; la realtà che ci ha voluti in qualche maniera animali mortali.
Ho ragione di pensare che allontanandosi progressivamente da ciò che umilmente è l’uomo, senza un minimo sforzo nel tentativo di ritornare alla naturalità della “bestia” cui siamo, condurrà il sapiens alla pazzia!

Massimo Zaratin