JEAN-JACQUES ROUSSEAU


Biografia 

Jean-Jacques Rousseau è stato filosofo, scrittore e musicista svizzero; uno dei massimi esponenti del pensiero europeo del XVIII secolo. Nato a Ginevra il 28 giugno 1712 e rimasto orfano della madre a pochi giorni, Rousseau non avrà una educazione regolare. Affidato al pastore Lambercier di Bossey, verrà educato ai principi religiosi e alle letture morali.

Tuttavia Rousseau studierà in segreto, scrivendo commedie, lavorando prima come cancelliere e poi come incisore. Lascia Ginevra per un incidente e per non subire punizioni, andandosene alla ventura in Savoia da un parroco che lo indirizza ad Annecy, da Madame de Warens, una donna convertitasi al cattolicesimo della quale si innamora. In questo periodo anche Rousseau si converte al cattolicesimo.

Nel 1728 entra al convento dello Spirito Santo di Torino dove verrà battezzato. Tornato ad Annecy, Rousseau studia canto e musica. Vivrà gli anni successi in compagnia di Madame de Warens, dedicando gran parte del suo tempo allo studio.

Nel 1745 fa rappresentare a Parigi “Les Muses galantes” ed in questi anni conosce Diderot, Fontenelle e Marivaux.

Rousseau vivrà in questi anni diversi tormenti amorosi ma risulterà sempre incapace di conservare le amicizie, sia maschili, sia femminili.

Nel 1768 si sposa celebrando egli stesso il matrimonio. Le sue "Confessioni", iniziate nel 1766 e pubblicate postume, sono un documento importante ("Voglio mostrare un uomo in tutta la verità della natura, e quest'uomo sarò io"), rivelano una psicologia straordinaria, un animo sensibile e un pensiero acutissimo.

Nei suoi testi, Rousseau esalta il mondo del sentimento e della natura per un ideale felice.

Ritornato a Parigi conduce un’esistenza inquieta e tormentata che descriverà nei "Sogni di un viandante solitario". Rousseau viene infine accolto ad Ermenonville dal marchese di Girardin, dove muore il 2 luglio 1778.


Il ritorno alla natura di Rousseau

Il motivo dominante dell’opera del grande filosofo francese è il contrasto tra l’uomo naturale e l’uomo artificiale, riconoscendo in quest’ultimo gran parte delle colpe dell’infelicità dell’umanità. I beni che l’uomo pensa di aver acquisito, la stessa cultura, l’arte e la vita raffinata di città lo hanno allontanato sempre più dalle sue origini ed estraniato dalla sua vera natura, rendendolo infelice e poco virtuoso.

In un passo del suo “Discours sur l’inegalitè” egli ben descrive la rovina dello stato di natura:

“Edotto dall’esperienza che l’amore per il proprio benessere è il solo movente delle azioni umane, l’uomo si trovò in condizione di distinguere le rare occasioni in cui l’interesse comune doveva permettergli di contare sull’aiuto dei suoi simili, e quelle ancora più rare in cui la concorrenza doveva farlo diffidare di loro. Nel primo caso, si univa a loro in branchi, o al massimo in qualche forma di libera associazione, che non impegnava nessuno, e durava quanto il bisogno passeggero che l’aveva prodotta; nel secondo caso, ciascuno cercava di avvantaggiarsi, sia apertamente con la forza, se lo credeva possibile, sia con l’abilità e l’astuzia, se si sentiva il più debole. Ecco come gli uomini poterono acquistare man mano qualche idea grossolana dei reciproci impegni e del vantaggio di adempierli, ma solamente nella misura in cui poteva essere richiesto da un interesse presente e concreto; infatti in loro non esisteva previdenza; e non solo non si preoccupavano di un avvenire lontano, ma non pensavano neppure all’indomani. Se si trattava di prendere un cervo, ognuno capiva che doveva per questo restare fedelmente al proprio posto; ma se una lepre passava a portata di uno di loro, non c’è da dubitare ch’egli la inseguisse senza scrupoli, e che, una volta raggiunta la preda, si preoccupasse pochissimo di far perdere la loro ai suoi compagni…

…Finchè gli uomini si accontentarono delle loro rustiche capanne, finchè si limitarono a cucirsi gli abiti di pelli con spine e legacci, ad ornarsi di piume e di conchiglie, a dipingersi il corpo con vari colori, a perfezionare o abbellire i loro archi e le loro frecce, a costruirsi con pietre acuminate le loro barche da pesca o qualche rudimentale strumento musicale; finchè insomma si dedicarono a lavori che un uomo poteva eseguire da solo e ad arti che non richiedevano il concorso di parecchie mani, vissero liberi, sani, buoni e felici, per quanto stava nella loro natura e continuarono a godere tra loro la dolcezza di rapporti indipendenti”.

Nell’”Emilio”, opera nella quale Rousseau chiarisce il “ritorno alla natura” per l’individuo, punta il dito sull’educazione che opprime e distrugge con una soprastruttura artificiale la natura originaria dell’uomo e studia un modello di educazione che si proponga come unico fine il rafforzamento di tale natura. Emilio è un fanciullo al quale non viene insegnata nè la verità nè la virtù in maniera tale che lo sviluppo fisico e spirituale del bambino avvenga in modo del tutto spontaneo attraverso l’uso dei sensi che purtroppo, nell’educazione tradizional-artificiale, si dimenticano o si trascurano del tutto.

Tratto da: J.J. Rousseau ed il ritorno alla natura


Il pensiero di Rousseau in 5 pillole


Più il corpo è debole, più comanda, più è forte, meglio obbedisce


Il denaro che si possiede è strumento di libertà; quello che si insegue è strumento di schiavitù


Si è curiosi soltanto nella misura in cui si è istruiti


Rinunciare alla propria libertà significa rinunciare alla propria qualità di uomo


È contro le leggi di natura che pochi uomini rigurgitino del superfluo mentre le moltitudini affamate mancano del necessario

 

Collegamenti esterni

Pubblicazioni di e su Jean-Jacques Rousseau

Emilio o dell’educazione

Le fantasticherie del passeggiatore solitario

Rousseau on-line